sistemare i segnalibri #41
Spuntì! Sono Gualtiero Bertoldi, tutto è una torta (sì, anche la lettera di Harper’s Magazine), sono tornato dal mare, Kanye forse vuol diventare POTUS forse no and Imma let you finish ma il candidato politico più scemo del mondo ce l’abbiamo noi, e questi sono i segnalibri da sistemare della settimana.
sistemare i segnalibri
Portraits in Tudor Britain - una serie di gallerie.
Osterby Man - c’è questo tizio di 2000 anni fa che ha una pettinatura molto più fica della mia (già, non ho questa gran pettinatura).
Giuseppe Stromboli - come “chi è Giuseppe Stromboli?” ?!
Pandemia - che, insomma, sembra essere una sorta di colpo di scena ricorrente nella storia dell’umanità
MTA - musica per la mia metropolitana.
Immaginare la decima dimensione - it’s easy if you try.
Amazon Mechanical Turk - volete svolgere una quantità di lavoro disumano e essere pagati pochissimo? Voglio dire, oltre al lavoro che già state facendo? MA PAGATI ANCORA MENO.
BigBlueBoo - giffine squadratine.
Boku to Issho - un manga di Minoru Furuya.
Dj Minaccia - se nel 2013 non stavate ascoltando easy escapist electro listening, io allora boh, proprio non so.
Mas del Plata - Tarragona - (in Spagna); se ci andate, non dimenticatevi di visitare e pregare la statua di Mazinga Z.
questa volta: foto di quel tipo
il pezzo: CTRL + ALT + CANC + CULTURE
Dicevo, all’inizio, della lettera ad Harper’s Magazine: ambigua, confusionaria, pressapochista - come tante lettere-appello; una ben misera difesa della libertà di parola. Fra le tante, una buona risposta è quella di Hannah Giorgis su The Atlantic: precisa, dettagliata, che distingue e arricchisce di categorie il discorso. In Italia, quasi tutto il giornalismo ufficiale si è schierato dalla parte dei firmatari della lettera, confondendo il diritto alla libertà di parola che l’apparato statale dovrebbe garantire, con l’incapacità di gestire critiche individuali più o meno feroci (tanto da far quasi sembrare Twitter una sorta di tribunale staliniano dai poteri cosmici, in grado di obliterare chiunque non si accodi al sentimento del momento), in questo modo rovesciando paradossalmente la situazione: sembra infatti che siano i firmatari della lettera, e i loro sostenitori, a voler tagliare e silenziare le voci contrarie nel dibattito pubblico, mentre le voci critiche, abbinate a quell’etichetta tanto ampia quanto poco pregna di senso che è la cancel culture, diventano i campioni del libero e aspro confronto.
Personalmente, penso che stiamo assistendo/partecipando a una ulteriore spinta in un cambio di paradigma ben definito, nel quale il pubblico ha deciso di disfarsi dei gatekeeper tradizionali, siano essi giornalisti, accademici, o personaggi pubblici di altra natura. Ma, attenzione, questa non è la critica ai “professoroni” di salviniana memoria, con la quale prendersi una qualunquistica rivincita sul “buonista” di turno; qua la critica - spietata, veemente, e sì, a volte anche fuori bersaglio - per la quale ognuno è responsabile di ciò che scrive in maniera letterale, è prima di tutto una critica all’autorità della posizione occupata, e di come essa viene impiegata. E questo, francamente, non mi preoccupa: quando Thomas Chatterton Williams (tra i fautori della lettera) dà di matto perché gli utenti di Twitter gli mangiano e gli risputano l’oramai celeberrimo tweet “In the Middle of Nowhere Expelling”, questo dice qualcosa sulla sua incapacità di gestire le dinamiche di internet di fronte a una reazione dal basso, più che sulla limitazione alla sua libertà di parola e alla tossicità dell’infosistema (che tossico pure lo è, ma facciamo attenzione a non incrociare la provenienza di questi flussi).
Be’, dai, fatta. Quasi. Non prima di un altro paio di memini caldi caldi:
e dei soliti:
numeri
1 - 2 - 101 - 0